Diritto della crisi d’impresa

 

Diritto della crisi d’impresa

 
 
Lo studio assiste le aziende in crisi, al fine di trovare soluzioni stragiudiziali e giudiziali idonee alla ristrutturazione dell’indebitamento così come disciplinato dal Codice della Crisi d’impresa D.Lg. 12 gennaio 2019 n. 14, così come modificato dal terzo Decreto Correttivo (D.Lg. 13 settembre 2024 n. 136) in vigore dal 28.09.2024.
 
L’attività stragiudiziale si manifesta attraverso l’assistenza del cliente nei rapporti con i singoli creditori, al fine di raggiungere soluzioni transattive, ovvero ricorrendo ad una procedura concorsuale stragiudiziale, quale
a) Accordi in esecuzione di piano attestato di risanamento ex art. 56 C.C.I.I.
Trattasi di un piano stragiudiziale, rivolto ai creditori, in funzione della continuità aziendale che “appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa ed assicuri il riequilibrio della situazione patrimoniale ed economico finanziaria”.
Ha una natura bifasica che vede proporsi un piano e concretizzarsi accordi per la sua esecuzione. Non è previsto alcun controllo giudiziale.
Deve avere data certa, contenuti espressamente indicati dalla legge, dovendo rappresentare, in modo chiaro, sia le cause della crisi sia la situazione patrimoniale - economico finanziaria dell’azienda, sia la sua struttura e le strategie d’intervento con i tempi necessari per consentire la ristrutturazione dell’indebitamento, e deve essere accompagnato da un piano industriale e finanziario.
È previsto che un professionista, indipendente, debba attestarlo come fattibile dal punto di vista economico e dichiararlo fondato su dati aziendali veritieri.
Se trascritto in Camera di commercio, su richiesta del debitore, ha conseguenze di natura fiscale di tutto rispetto quale la non tassabilità delle plusvalenze, per il debitore, per la parte del credito non corrisposta a seguito degli accordi intercorsi.
b) Composizione negoziata della crisi d’impresa ex art. 12 ss. C.C.I.I.
Trattasi di un sistema di norme finalizzate a consentire il risanamento dell’impresa, sia essa commerciale (anche minore e, cioè, non assogettabile alla liquidazione giudiziale) od agricola che si trova in “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico - finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza” ovvero, anche, in presenza di insolvenza conclamata ma reversibile (se sussistano concrete possibilità di risanamento).
Non è una procedura concorsuale in senso stretto, ma un semplice procedimento stragiudiziale che non vede alcun intervento del Giudice, se non in alcuni casi, esplicitamente previsti dalla legge, quali, ad esempio, la conferma delle misure protettive, la concessione di autorizzazioni per la vendita dell’azienda o per contrarre finanziamenti prededucibili.
È caratterizzato da un sistema normativo interno che regolamenta varie fasi procedimentali.
Il debitore che intende accedere a tale procedimento deve chiedere, alla Camera di Commercio Regionale ove è collocata la propria sede legale attraverso un’istanza presentata attraverso una piattaforma telematica, la nomina di un esperto negoziatore.
All’istanza devono essere allegati una serie di documenti funzionali sia ad individuare la consistenza economica patrimoniale e finanziaria del debitore, sia un progetto di piano ristrutturatorio.
Trattasi dei bilanci approvati negli ultimi tre esercizi (o, in caso di mancata approvazione, i progetti di bilancio, ed una situazione economico-patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre 60 giorni prima del deposito dell’istanza), di una situazione economico – patrimoniale e finanziaria, di un elenco dettagliato dei creditori con l’esatta indicazione dell’ammontare dei debiti, nonché di un piano finanziario con indicazione delle iniziative industriali che intende adottare, funzionali alla ristrutturazione dell’indebitamento.
Oltre a ciò, deve produrre una autocertificazione attestante la, eventuale, pendenza di una richiesta di apertura di liquidazione giudiziale nei suoi confronti ed attestare di non avere effettuato accesso ad altri strumenti di regolazione della crisi.
È data la possibilità, al debitore, di stipulare con l’Erario una transazione fiscale, che consenta il pagamento parziale o dilazionato del debito (sino a 120 rate), qualora un professionista indipendente, in una sua relazione, attesti la convenienza della proposta, rispetto a quanto l’Erario potrebbe incassare a seguito dei riparti, di sua spettanza, in una liquidazione giudiziale.
Trattasi di un accordo stragiudiziale che il debitore deve stipulare con l’Ente creditore, senza alcun intervento da parte del Giudice, per cui è necessario che vi sia un accordo espresso.
Non è previsto, infatti, il craw down come accade, invece, negli accordi di ristrutturazione o nel concordato preventivo e che consente al debitore di neutralizzare il dissenso ovvero l’inerzia dell’Erario nell’accogliere la proposta di transazione fiscale dando, al Giudice, la facoltà di omologare l’accordo ovvero la proposta concordataria qualora la ritenga più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
Non sono previste percentuali minime di soddisfo per l’Erario, così come, invece, accade per gli accordi di ristrutturazione per cui le modalità di definizione transattiva, che possono consistere in una proposta di pagamento parziale o , in alternativa, dilatoria od  anche miste e cioè con pagamento parziale dilazionato.
In modo del tutto inspiegabile, la legge non ha previsto analoga transazione con riferimento agli enti contributivi (INPS, INAIL), come invece avviene nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione.
L’esperto, se ritiene che vi siano concrete possibilità di risanamento, gestisce le trattative (che devono essere condotte con correttezza e in buona fede) con tutti i creditori di concerto con l’imprenditore ed i professionisti che lo assistono.
All’esito delle stesse le parti (e non l’esperto che non ha potere decisionale) hanno la possibilità di percorrere diverse strade che hanno come obiettivo la ristrutturazione dell’indebitamento ed in particolare possono alternativamente:
  1. concludere un contratto, con uno o più creditori, o con altre parti interessate se, secondo la relazione dell’esperto, esso è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni;
  2. concludere la convenzione di moratoria (ved. attività giudiziale punto c);
  3. concludere un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produce l’effetto di non assoggettare ad azione revocatoria gli atti dispositivi posti in essere in esecuzione dello stesso e non rendere applicabile il sistema sanzionatorio previsto per i reati di bancarotta.
L’esperto deve dare atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza.
Ovvero, anche:
  1. predisporre un piano attestato di risanamento (ved. attività stragiudiziale lett. a);
  2. chiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti (ved. attività giudiziale lett. a) od accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (ved. attività giudiziale lett. b). Con riferimento a quest’ultima procedura la percentuale, prevista dalla legge del 75%, per condizionare la minoranza dissenziente è ridotta al 60% se il raggiungimento dell’accordo risulta dalla relazione finale dell’esperto, ovvero se la domanda di omologazione è presentata nei 60 giorni successivi alla comunicazione al debitore della relazione finale da parte dell’esperto;
  3. proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (ved. attività giudiziale lett. f);
  4. accedere ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza disciplinati dal Codice della Crisi, dal decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 o dal decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39.
La Composizione negoziata ha una durata massima di 180 giorni, rinnovabili di altri 180 giorni se sussistono, certificate dall’esperto, concrete possibilità che le trattative possano essere, utilmente, proseguite.
Durante il procedimento l’imprenditore mantiene l’ordinaria e la straordinaria amministrazione, con l’unica limitazione di dover segnalare all’esperto gli atti di straordinaria amministrazione che intende porre in essere.
L’esperto non ha il potere di impedirne l’effettuazione, ma esercita quello di esprimere un eventuale dissenso da pubblicare in Camera di Commercio.
L’imprenditore deve gestire l’impresa nell’interesse dei creditori e, da ciò, deriva il fatto che il procedimento non può utilmente continuare qualora vi sia un aggravamento della crisi ed una gestione economica pregiudizievole per i creditori.
È data facoltà al debitore di chiedere misure protettive e cautelari.
Tale richiesta può essere effettuata sia contestualmente alla richiesta di nomina dell’esperto, sia successivamente, con separata istanza, presentata direttamente al Tribunale del luogo ove è collocata la sede dell’impresa.
Nel primo caso, le misure richieste hanno efficacia immediata, a seguito della pubblicazione in Camera di Commercio della richiesta di nomina dell’esperto e sua accettazione, ma devono essere confermate dal Giudice.
A tal fine, il debitore deve chiederne la conferma al Tribunale del luogo nella cui circoscrizione è collocata la sede dell’impresa con ricorso, nel quale devono essere motivate le ragioni di tale richiesta ed allegato il piano ristrutturatorio.
La durata minima delle misure protettive varia da 30 a 120 giorni, rinnovabili per altri 120 a discrezione del Giudice.
La durata massima, complessiva, delle predette misure è di 240 giorni, e coincide con la durata massima delle misure protettive concesse dal Codice della Crisi per chi si avvale dei vari strumenti di regolazione della crisi, per cui, se sono utilizzate all’interno della composizione negoziata, non possono più essere invocate successivamente in altre procedure a cui il debitore intenda accedere.
Le misure protettive consentono all’imprenditore di impedire ai creditori di ottenere titoli di prelazione sul suo patrimonio, oltre che iniziare e proseguire azioni esecutive o cautelari sullo stesso.
È concesso al debitore di ottenere finanziamenti prededucibili e porre in essere atti funzionali al risanamento dell’impresa previsti dal piano, quali la vendita dell’azienda o suoi rami, con esplicita deroga a quanto disposto dall’art. 2560, comma 2, C.C.I.I., esonerandosi, di conseguenza, i cessionari d’azienda dall’obbligo di soddisfare i crediti preesistenti, sempre che siano autorizzati dal giudice.
Tali atti conservano i loro effetti anche qualora il procedimento non si concluda favorevolmente e il debitore faccia accesso ad altre procedure concorsuali.
Il compenso dell’esperto viene liquidato al termine del procedimento e da ciò deriva il fatto che al momento dell’accettazione della nomina, il debitore nulla debba versare.
La composizione negoziata si applica anche agli imprenditori sottosoglia e, cioè, quegli imprenditori che, rispettando i criteri previsti dalla legge, non sono assoggettabili alla liquidazione giudiziale, per i quali si applicano le stesse soluzioni previste dalla legge per l’impresa maggiore con l’unica differenza che anziché accedere al concordato preventivo, ovvero alla liquidazione giudiziale, potranno fare ricorso al concordato minore ed alla liquidazione controllata del sovraindebitato.
Analogamente con quanto è previsto per le imprese maggiori, anche quelle minori potranno accedere al concordato liquidatorio semplificato.
La richiesta di nomina dell’esperto, sempre attraverso la piattaforma telematica, deve essere effettuata alla Camera di Commercio Provinciale del luogo ove è collocata la loro sede, anziché alla Camera di Commercio Regionale.
 
L’attività giudiziale riguarda:
  1. accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 ss C.C.I.I.)
Trattasi di un piano di ristrutturazione dell’indebitamento proposto dall’imprenditore in stato di crisi (e non in stato di insolvenza) ad una maggioranza qualificata dei propri creditori (pari ad almeno il 60% dei crediti) finalizzato a raggiungere un accordo, esclusivamente con questi ultimi, senza, per altro, interferire sulle modalità di pagamento dei creditori estranei, cioè quei creditori non chiamati a sottoscriverli, ovvero dissenzienti, che devono essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa per i debiti scaduti, ovvero 120 giorni dalla loro scadenza per quelli con scadenza successiva.
L’accordo, che può avere qualsiasi contenuto (dilatorio, parzialmente remissorio del debito ovvero misto), sottoscritto tra debitore e creditori, deve essere pubblicato nel Registro delle imprese ed è soggetto ad omologa da parte del Tribunale.
Al fine di accedere, a tale procedura, è necessario che un professionista indipendente attesti la veridicità dei dati contabili e l’attuabilità dell’accordo, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei all’accordo stesso, da pagarsi integralmente alle scadenze previste dalla legge.
È prevista, per il debitore, nell’ambito dell’accordo, la possibilità di concludere, con l’erario e con gli enti previdenziali, una transazione fiscale, ex art. 63 C.C.I., consentendosi, in tal modo, di definire, anche transattivamente, il debito erariale e contributivo.
La transazione fiscale può essere accettata dagli enti destinatari e in tale caso non è previsto dalla legge alcun limite alla volontà delle parti, per cui non è sottoposta a percentuali minime per la sua approvazione.
Nel caso, invece, in cui i predetti enti non accettino la proposta, esprimendo il loro dissenso, ovvero si limitino a restare inerti e non si pronuncino entro il termine di 90 giorni dal deposito della proposta, e solo in presenza di accordi di ristrutturazione in continuità aziendale e sempre che la adesione sia decisiva per il raggiungimento della percentuale prevista dalla legge, vi è la possibilità che essi vengano coattivamente a loro imposti.
Il Giudice, infatti, può omologare comunque l’accordo, nonostante il dissenso ovvero l’inerzia dei predetti enti, qualora lo ritenga conveniente rispetto ad una alternativa liquidatoria, sempre che, tale miglior risultato, sia evidenziato nella relazione predisposta da un professionista indipendente.
Vi sono, tuttavia, rigidi criteri da rispettare per ottenere tali benefici:
  1. L’accordo non deve avere carattere liquidatorio,
  2. il soddisfacimento dei crediti tributari e contributivi debba essere comunque pari ad almeno il 50% del loro ammontare, escluse sanzioni ed interessi, se il credito complessivo di cui sono titolari altri creditori aderenti corrisponde ad almeno un quarto dell’intero importo dei debiti dell’impresa istante,
  3. il soddisfacimento dei crediti tributari e contributivi debba essere comunque pari ad almeno il 60% del loro ammontare, escluse sanzioni e interessi, e la dilazione di pagamento non ecceda il periodo di dieci anni (fermo restando il pagamento degli interessi di dilazione), se il credito complessivo di cui sono titolari altri creditori aderenti è inferiore a un quarto dell’intero importo dei debiti dell’impresa istante oppure se non vi è alcun altro creditore aderente all’accordo oltre gli enti erariali e previdenziali.
Tali agevolazioni non si applicano qualora:
  1.  nei 5 anni precedenti, il debitore abbia concluso precedenti transazioni fiscali all’interno di altro accordo di ristrutturazione risolte di diritto
  2. Se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
    1. Il debito nei confronti dell’amministrazione finanziaria è pari o superiore all’80% dell’importo complessivo dei debiti maturati
    2. Il debito deriva prevalentemente da omessi versamenti, totali o parziali, di imposte dichiarate o contestate per 5 periodi di imposta, anche non consecutivi, ovvero derivi per almeno 1/3 del complessivo debito oggetto di transazione con i creditori pubblici, dall’accertamento di gravi violazioni, quali, ad esempio, l’utilizzo di documenti falsi.
  1. Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa ex art. 61 C.C.I.I.
Trattasi di un accordo di ristrutturazione anomalo che consente ad una maggioranza qualificata, disponibile a sottoscrivere un accordo col debitore di imporre la sua volontà a una minoranza dissenziente che, in tal modo, è vincolata ad accordi che non intendeva accettare
I creditori vengono suddivisi in “categorie” omogenee per posizioni giuridiche ed interessi economici ed ognuna di esse è chiamata ad aderire alla proposta effettuata dal debitore e, qualora venga raggiunta una maggioranza favorevole alla sottoscrizione dell’accordo, pari o superiore al 75% dei crediti collocati nella predetta categoria, l’efficacia dello stesso si estende anche alla minoranza dissenziente.
La scelta operata dal legislatore mira a dare un peso specifico maggiore a chi intende agevolare il superamento dello stato di crisi del debitore ed impedire manovre speculative da parte di piccoli creditori spesso dissenzienti al solo fine di tentare di ottenere trattamenti più favorevoli
Gli accordi ad efficacia estesa trovano la loro applicazione, come regola, in un piano in continuità aziendale ma è concessa la facoltà di accedere agli stessi, in via del tutto eccezionale, nell’ambito di un piano liquidatorio.
Ciò accade quando un’impresa ha debiti verso banche, intermediari finanziari e cessionari dei loro crediti in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo.
In tale caso, l’accordo può individuare una o più categorie di creditori con posizioni giuridiche e interessi economici convergenti e chiedere che gli effetti dell’accordo si estendano anche ai creditori non aderenti.
Unica condizione è che i creditori dissenzienti siano stati messi nelle condizioni di partecipare, in buona fede, alle trattative, ed abbiano ottenuto adeguate informazioni e risulti che con gli effetti dell’accordo verrebbero soddisfatti in misura non inferiore a quanto riceverebbero in caso di apertura della liquidazione giudiziale alla data della domanda di omologazione.
  1. Convenzione di moratoria ex art. 62 C.C.I.
È un accordo concluso con un imprenditore, anche non commerciale, ed i suoi creditori, che ha come unico obiettivo, in via provvisoria, quello di dilazionare le scadenze dei pagamenti e di sospendere le azioni esecutive senza in alcun modo compromettere le garanzie del credito.
Essa è vincolante anche per i creditori non aderenti sempre che venga accettata da creditori che rappresentino almeno il 75% dei crediti.
Analogamente a quanto previsto con riferimento agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa è necessario che tutti i creditori siano stati informati dell’avvio delle trattative, messi nelle condizioni di partecipare in buona fede ed abbiano ottenuto complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, nonché sulla convenzione e sui suoi effetti e non vengano pregiudicati rispetto a quanto incasserebbero a seguito dell’apertura della liquidazione giudiziale.
Professionista indipendente deve avere attestato la veridicità dei dati aziendali e l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi ed il fatto che i creditori subiscano un pregiudizio proporzionato.
  1. Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) ex art. 64 bis C.C.I.I.
Trattasi di un piano ristrutturatorio dell’indebitamento caratterizzato dal fatto che si possa derogare sia al generale principio che il debitore risponde, delle proprie obbligazioni, con tutto il suo patrimonio (artt. 2740 - 2741 C.C.) sia alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione.
Ne deriva che il debitore può strutturare il piano come meglio crede; ciò che conta che ci sia l’adesione da parte dei creditori.
A differenza degli accordi di ristrutturazione di cui all’articolo 57 C.C.I.I. ove l’accordo tra debitore e creditori è giunto nell’ambito di trattative stragiudiziale e vede l’intervento del tribunale in un secondo momento quando viene chiesta l’omologa degli accordi già raggiunti nel PRO gli accordi si perfezionano all’interno di una procedura già incardinata proprio fine di ottenere l’adesione dei creditori
La domanda di omologa deve essere presentata con ricorso avanti al Tribunale del luogo ove vi è il centro di interessi principale dell’impresa, da intendersi per le società la sede legale risultante dal registro delle imprese, ovvero la sede ove è collocata la sede effettiva (da intendersi come sede amministrativa), ed è corredata da una attestazione da parte di un professionista indipendente circa la veridicità dei dati contenuti e la fattibilità del piano.
Durante la procedura il debitore mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, sotto il controllo del commissario giudiziale, che ha il compito di valutare la coerenza degli atti di straordinaria amministrazione e dei pagamenti con il piano; se verifica, eventuali, pregiudizi lo segnala all’imprenditore e se quest’ultimo lo pone, comunque, in essere, provvede ad informare il Tribunale al fine di una eventuale apertura della procedura di liquidazione giudiziale.
Il piano deve prevedere, necessariamente, la suddivisione dei creditori in classi e può essere approvato dal Tribunale solo se tutte le classi votano a favore.
In ciascuna classe è previsto un duplice quorum deliberativo per considerarlo approvato: la maggioranza dei creditori ammessi oppure, in mancanza, se hanno votato favorevolmente il ⅔ dei creditori votanti.
Viene data al debitore la facoltà di determinare quanto proposto, in termini di valore, alle diverse classi senza dover rispettare l’ordine legittimo della prelazione e della graduatoria dei privilegi.
A favore di un creditore ipotecario, ad esempio, può essere previsto un pagamento inferiore a quello che sarebbe a lui riservato a seguito di una liquidazione giudiziale e ad un creditore chirografario strategico una percentuale maggiore rispetto a quella attribuita ad un creditore privilegiato.
Ciascuno dei creditori dissenzienti, che ha già espresso il suo dissenso in sede di osservazioni, può proporre opposizione all’omologa eccependo la sua non convenienza ma il tribunale provvede, comunque, all’omologa se ravvisa che il creditore opponente vedrebbe soddisfare il credito in misura non inferiore a quella che gli spetterebbe a seguito di una liquidazione giudiziale.
Se il piano non viene approvato da tutte le classi, il debitore può modificare la domanda formulando proposta di concordato preventivo.
Prima della presentazione della domanda il debitore può proporre una transazione fiscale e contributiva all’erario e agli enti previdenziali allegando, alla stessa, una relazione di professionista indipendente che attesta, oltre alla veridicità dei dati aziendale, anche il fatto che a seguito della proposta non verrebbe effettuato un trattamento deteriore dei crediti vantati dai predetti enti rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale.
Il termine per l’adesione, da parte degli enti destinatari, è di giorni 90.
 
  1. Concordato preventivo ex art. 84 ss. C.C.I.
Trattasi di una procedura che consente al debitore, sia in stato di crisi sia in stato di insolvenza, di sottoporre, ai propri creditori, una proposta di definizione dell’indebitamento, variamente articolata, che si può fondare su un piano liquidatorio ovvero in continuità aziendale.
Il debitore al fine di essere ammesso alla procedura concordataria deve depositare un ricorso al Tribunale del luogo ove collocato il centro di interessi principali che si presume essere il tribunale nella cui circoscrizione collocata la sede legale ovvero la sede amministrativa, se collocata in luogo diverso.
Il ricorso, corredato da una serie di documenti, analiticamente previsti dalla legge (quali, ad esempio, bilanci degli ultimi tre esercizi, una situazione economico finanziaria aggiornata, l’elenco analitico dei creditori) deve contenere una proposta di ristrutturazione dell’indebitamento effettuata, ai creditori, che si fonda su un piano che può essere in continuità aziendale diretta od indiretta ovvero liquidatorio.
Particolare rilievo assume l’attestazione da allegarsi al ricorso; trattasi di una relazione redatta da un professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano e, in caso di continuità aziendale, che esso garantisca la sostenibilità economica dell’impresa e la sua idoneità a superare l’insolvenza del debitore riconoscendo, a ciascun creditore, un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale.
La legge vede, con particolare favore, il concordato in continuità che ha un trattamento premiale per il debitore.
Basti notare che qualora il debitore intenda, unicamente, liquidare il proprio patrimonio la proposta concordataria deve prevedere un apporto di risorse esterne che consentano di incrementare di almeno 10% l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda e garantire il soddisfacimento dei creditori chirografari in misura non inferiore al 20% del loro credito.
Nel concordato in continuità queste limitazioni non ci sono ed il debitore può soddisfare i propri creditori dal ricavato prodotto dalla continuità stessa
Ogni proposta concordataria deve avere, come punto di riferimento, il valore di liquidazione (quello che creditori potrebbero incassare dal debitore qualora venisse aperta una procedura di liquidazione giudiziale) e deve, di conseguenza, rappresentare un maggior vantaggio per i creditori rispetto al valore di liquidazione
Il valore di liquidazione si determina con un meccanismo molto complesso che deve tener conto del valore dell’azienda (al momento della presentazione della domanda) e di tutto quello che potrebbe essere realizzato, da un curatore, nell’ambito della liquidazione giudiziale; non solo, dunque, quanto potrebbe essere realizzato dalla vendita dell’azienda nel suo complesso, ovvero da vendite atomistiche di beni e dal recupero dei crediti, ma anche dal ricavo derivante da eventuali azioni di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci, ovvero da azioni revocatorie.
Ne deriva che la proposta concordataria deve assumere contenuti particolarmente rigorosi e rappresentare, avendo, sempre, come punto di riferimento il valore di liquidazione, un vantaggio per i creditori.
I creditori possono essere suddivisi in classi omogenee; nel concordato in continuità aziendale le classi sono obbligatorie.
I creditori sono chiamati a votare ed al riguardo bisogna distinguere tra concordato liquidatorio e concordato in continuità aziendale.
Il concordato liquidatorio è approvato dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto e nel caso in cui ci sia un unico creditore, titolare di crediti e misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi, è necessaria anche la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori ammessi al voto.
Se sono state previste classi, il concordato è approvato se la maggioranza dei crediti ammessi al voto è raggiunta, inoltre, nel maggior numero delle classi.
Nel concordato in continuità invece esso è approvato se tutte le classi votano a favore e, in ciascuna classe, la proposta è approvata si è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto oppure, in mancanza, se hanno votato, favorevolmente, i due terzi dei crediti dei creditori votanti purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe.
In caso di mancata approvazione vi è, comunque, la possibilità di ottenere l’omologa del concordato.
Ciò accade nel concordato in continuità aziendale ove è previsto che possa essere, comunque, omologato se ricorrono, congiuntamente, le seguenti condizioni:
  1. il valore di liquidazione deve essere distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione,
  2. il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito tra i creditori andando a pagare le varie classi in modo tale che le classi aventi lo stesso grado abbiano un trattamento identico o comunque superiore a quella di grado inferiore,
  3. nessun creditore deve incassare più del proprio credito,
  4. la proposta deve essere approvata dalla maggioranza delle classi purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritto di prelazione.
È previsto altresì (e questa è una vera anomalia del sistema) che possa essere omologato anche solo se una classe dei creditori vota a favore (e tutte le altre classi abbiano espresso voto contrario) se la classe che ha votato a favore che ha accettato un pagamento non integrale sarebbe stata soddisfatta in tutto o in parte qualora si fosse applicato all’ordine delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
Trattasi della cosiddetta classe dei maltrattati e cioè quella classe che pur avendo la certezza di incassare più danari da una liquidazione giudiziale preferisce aderire al concordato e al fine è disposto di accettare ad accettare somme inferiori.
È prevista la possibilità, per il debitore, di depositare un ricorso “con riserva” che prevede la concessione di un termine al fine depositare un piano e la proposta ai creditori, con possibilità di ottenere misure protettive per evitare l’aggressione da parte dei predetti sul patrimonio del debitore.
Qualora il concordato venga omologato si apre la fase esecutiva ed il debitore ha l’onere di adempiere la proposta concordataria con la facoltà, per il Tribunale, di nominare uno o più liquidatori che, avvalendosi di professionisti specializzati, assicurino una liquidazione celere e trasparente.
In funzione della conservazione dell’attività aziendale è possibile, per il debitore, concludere contratti funzionali al futuro accesso alla procedura che, se perfezionati nel rispetto della legge, consentono di valorizzare al meglio l’azienda nel suo complesso, in funzione di un miglior soddisfacimento dei creditori.
Qualora, dopo l’omologa del piano, si renda necessario effettuare modifiche sostanziali del piano per consentire l’adempimento della proposta, tale necessità sopravvenuta viene sottoposta alla valutazione del giudice e, accompagnata da un’attestazione redatta da un professionista indipendente, circa la veridicità di dati aziendali la fattibilità del nuovo piano ed il fatto che sia idoneo a superare l’insolvenza del debitore, sostenere economicamente l’impresa e riconoscere utilità a ciascun creditore, il tribunale è chiamato a pronunciarsi al riguardo.
Particolare importanza assume il fatto che, nel concordato preventivo, sia possibile concludere col fisco ed enti previdenziali una transazione fiscale da proporsi, esclusivamente, all’interno della proposta concordataria.
Tale proposta può prevedere il pagamento parziale o anche dilazionato dei tributi e dei contributi e premi amministrati dagli enti previdenziali ma è necessario che risulti da una relazione, redatta da professionista indipendente, che i debiti erariali e contributivi verrebbero soddisfatti nel piano, in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale del credito, sul ricavato in caso di liquidazione giudiziale.
In caso di mancata adesione da parte dei predetti enti, il Tribunale può, comunque, omologare l’accordo.
Nel concordato in continuità aziendale può essere, comunque, omologato se la proposta di soddisfacimento risulta non deteriore a quella che potrebbe risultare nell’ambito della liquidazione giudiziale sempre che l’adesione sia determinante per il raggiungimento delle maggioranze previste per la classe di riferimento.
Nel concordato liquidatorio il Tribunale può, comunque, omologare il concordato, anche in assenza di adesione, da parte dei predetti enti, quando essa sia determinante per il raggiungimento delle percentuali e se è conveniente rispetto alla alternativa liquidatoria (liquidazione giudiziaria) così come attestato da un professionista indipendente.
 
  1. Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ex art. 25 septies C.C.I.
Trattasi di una procedura concorsuale che trova la sua genesi nella composizione negoziata della crisi nel senso che è possibile accedere alla stessa unicamente per chi si è attivato per aprire il procedimento di composizione negoziata e non è riuscito a concluderlo favorevolmente neppure con l’accesso alle altre procedure concorsuali, attivabili una volta terminata.
Condizione di ammissibilità a tale procedura è che l’esperto, nella relazione finale, che deve predisporre al termine della composizione negoziata, dichiari che le trattative sono state condotte secondo correttezza e buona fede e che non sono praticabili tutte le altre soluzioni alternative (e cioè le altre procedure concorsuali previste dalla legge).
Il debitore, che intende accedere al concordato semplificato, deve depositare domanda al Tribunale di luogo ove vi è il centro di interessi principale dell’impresa entro 60 giorni dal deposito della relazione dell’esperto.
L’atto processuale introduttivo è un ricorso nel quale il debitore propone un piano liquidatorio del proprio patrimonio indicando gli atti funzionali allo stesso e la percentuale da proporsi ai creditori.
Tale concordato è caratterizzato dal fatto che i creditori non votano e sulla proposta concordataria decide solamente il Giudice il quale, verificato il rispetto delle cause di prelazione e la fattibilità del piano, se rileva che lo stesso non arreca pregiudizio ai creditori, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e della liquidazione controllata del sovraindebitato, provvede ad omologarlo, con decreto motivato.
La legge, pur non prevedendo percentuali minime di soddisfo per i creditori, stabilisce che la proposta concordataria debba assicurare, comunque, un’utilità per tutti i creditori, da intendersi non solo come percentuale, anche minima, di soddisfo del credito, ma anche, in alternativa, come vantaggio per gli stessi rispetto all’alternativa liquidatoria.
Ne deriva che tutte le volte in cui viene a mancare un riparto per una o più classi di creditori, è necessario che il debitore si procuri finanza esterna da devolvere a favore delle classi insoddisfatte, anche in quantità minime.
Depositato il ricorso, il Tribunale acquisisce la relazione finale ed il parere dell’esperto in ordine sia alle presumibili risultanze della liquidazione, sia alle garanzie offerte, e nomina un ausiliario al quale demanda il compito di esprimere un suo parere.
Qualora il Tribunale ritenga che non sussistano cause di inammissibilità, fissa udienza per l’omologa, ordinando che la proposta, unitamente al parere sia dell’ausiliario sia dell’esperto ed alla relazione finale di quest’ultimo vengano comunicate ai creditori, i quali possono proporre opposizione, costituendosi entro 10 giorni prima della stessa.
Il Tribunale omologa il concordato con decreto motivato avverso il quale i creditori possono proporre reclamo alla Corte di Appello nei 30 giorni successivi alla comunicazione del provvedimento di omologa e, in caso di rigetto del reclamo, possono proporre ricorso in Cassazione.
Il concordato liquidatorio semplificato non esclude tuttavia, nonostante la sua denominazione, che, quale veicolo funzionale alla sua cessione mediante vendite competitive, si possa stipulare anche un affitto d’azienda, consentendo di conseguenza una continuità indiretta, che ha come obiettivo il miglior realizzo liquidatorio.
 
  1. Concordato nella liquidazione giudiziale ex art. 240 ss. C.C.I.).
Trattasi di una procedura concorsuale successiva alla liquidazione giudiziale ove, il debitore, decorso un anno dalla liquidazione giudiziale ovvero anche in un momento anteriore, un soggetto terzo (un assuntore), a fronte dell’acquisizione di tutto l’attivo della liquidazione giudiziale, effettua ai creditori una proposta di pagamento in percentuale del loro credito.
Tale proposta è sottoposta al voto dei creditori e. se approvata, determina la chiusura della liquidazione giudiziale e l’esdebitazione del debitore per le somme non corrisposte.
La proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi secondo posizioni giuridiche e interessi economici omogenei, trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse e la ristrutturazione dei debiti attraverso qualsiasi forma.
La proposta deve prevedere che i creditori muniti di privilegio, come ipoteca, possano non essere soddisfatti integralmente, qualora il bene su cui gravi la garanzia non sia capiente derubandosi la parte del credito che supera il valore del bene della misura in cui sarebbe realizzabile nell’ambito di una liquidazione giudiziale.
 
 
  1. Liquidazione giudiziale ex art. 121 ss C.C.I.
Trattasi del vecchio fallimento, di una procedura concorsuale esclusivamente liquidatoria che determina in capo, al debitore, la perdita dell’amministrazione e della disponibilità del suo patrimonio che passa al curatore.
È radicata davanti al tribunale in composizione collegiale del luogo ove il debitore ha il centro di interessi principali che si presume essere il luogo ove è collocata la sede legale ovvero la sede principale (da intendersi come sede amministrativa direzionale dell’impresa).
Può essere richiesta dei creditori, dal debitore o dallo stesso Pubblico Ministero, il quale, chiedendone l’apertura, ha la possibilità di contestare i reati di bancarotta che hanno come condizione di procedibilità la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale.
La procedura è scandita in fasi ben definite.
Vi è una fase istruttoria, all’interno della quale il tribunale valuta la sussistenza dei presupposti per la sua apertura e, cioè, la qualifica di imprenditore commerciale non riconducibile alla categoria di imprenditore minore e il suo stato di insolvenza da intendersi come incapacità di adempiere, regolarmente, alle proprie obbligazioni.
Qualora il tribunale ritenga sussistere i presupposti emette una sentenza di apertura nominando il giudice delegato ed il curatore.
Una volta emessa la sentenza, il curatore deve comunicarla ai creditori, invitandoli a presentare le domande di ammissione al passivo.
L’OCC provvede a redigere l’inventario ed un progetto di stato passivo da sottoporre al giudice; in tale progetto vengono indicati i crediti così come sono stati insinuati dai creditori ed il giudice, anche sulla scorta dei rilievi del curatore, valuterà ogni singola domanda ed emetterà decreto di ammissione, esclusione o ammissione con riserva, dichiarando esecutivo lo stato passivo.
Contro tale decreto, i creditori esclusi potranno proporre opposizione (ed anche impugnazione nei confronti della ammissione effettuata a favore di alto creditore sempre però che abbiano proposto opposizione) al tribunale.
Il curatore dovrà predisporre un programma di liquidazione idoneo a regolare tutte le attività che intende porre in essere ed indicare le azioni revocatorie e risarcitorie che intende attivare, la mancata, eventuale, stipula di un contratto di affitto d’azienda prodromico alla vendita della stessa ed indicare le modalità di liquidazione dei beni.
È previsto dalla legge che tutti i beni da liquidare debbano essere sottoposti a vendite competitive al fine di garantire la massima trasparenza con l’unica esclusione dei beni di modestissimo valore.
Terminata la liquidazione, il curatore presenterà, al giudice, un rendiconto sulla attività svolta e, successivamente, un piano di riparto al fine di distribuire l’attivo dei creditori.
Particolare importanza assumono le relazioni che il curatore deve redigere nell’ambito della procedura.
La prima entro 30 giorni dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, e deve contenere un’informativa sugli accertamenti compiuti, sulle cause dell’insolvenza e sulle responsabilità del debitore ovvero degli amministratori e degli organi di controllo.
Successivamente, entro 60 giorni dal deposito del decreto di esecutorietà dello stato passivo, presenterà una seconda relazione, questa volta particolareggiata, nella quale evidenzierà tutte le informazioni che ha potuto ottenere a far tempo della sua nomina, ponendo in essere le indagini ispettive e di controllo che gli sono demandate dalla legge.
Dovrà indicare quali sono state le cause dell’insorgere della crisi, se ci sia stata diligenza da parte del debitore, quali siano le sue responsabilità e quanti altri possono essere coinvolti nell’attività gestionale del debitore anche al fine di evidenziare le loro responsabilità.
Tale relazione verrà trasmessa anche al PM il quale potrà utilizzarne i contenuti al fine di effettuare contestazioni al debitore per fatti di bancarotta.
L’apertura della liquidazione controllata ha conseguenze di assoluto rilievo con riferimento agli atti posti in essere dal debitore in tempo anteriore.
È previsto infatti un sistema revocatorio molto articolato che va a colpire tutti gli atti posti in essere in un periodo sospetto (che va da sei mesi ad un anno) con maggior rigore se configurabili come atti anormali di gestione (quale la vendita di beni sottocosto ovvero pagamenti effettuati con mezzi non normali) e con minor rigore quelle avente requisito della normalità (come la vendita giusto prezzo il pagamento di debiti scaduti con denaro o altri mezzi usuali di pagamento).
La sentenza di apertura ha effetti anche sui contratti pendenti che vengono variamente disciplinati, a seconda della natura del contratto, prevedendone, in alcuni casi, lo scioglimento e in altri casi un sistema più articolato che dà curatore la possibilità di mantenerli in vita.
Contestualmente al decreto di chiusura della procedura ed, anche, anteriormente, decorsi 3 anni dalla data di apertura, il debitore potrà essere esdebitato.
Per ottenere l’esdebitazione è necessaria un’esplicita richiesta da parte del debitore; e sono previste condizioni personali espressamente indicate nell’articolo 280 C.C.I.I., potendo essere concessa solo se:
  1. non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, o altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per essi sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati o v’è stata applicazione di una delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159, il Tribunale rinvia la decisione sino all’esito del relativo procedimento;
  2. non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;
  3. non abbia, ostacolato o rallentato lo svolgimento della procedura e abbia fornito agli organi ad essa preposti tutte le informazioni utili e i documenti necessari per il suo buon andamento;
  4. non abbia beneficato di altra esdebitazione nei cinque anni precedenti la scadenza del termine per l’esdebitazione;
  5. non abbia già beneficiato dell’esdebitazione per due volte.
  6. non abbia contratto debiti con frode, dolo o colpa grave, andando in tale modo a prevedere un richiamo a quel concetto di meritevolezza proprio della procedura riservata al consumatore che è condizione, speciale, di inammissibilità al suo accesso, prevista dalla legge;
 
 
Lo Studio assiste altresì creditori, ogni volta in cui essi debbano affrontare - in tale veste - le diverse procedure concorsuali:
In tale ipotesi, lo Studio si cura di predisporre le domande di ammissione al passivo, curando tutta l’attività processuale relativa ed – inoltre – cura l’assistenza dei soggetti acquirenti di beni o destinatari di pagamenti da debitori falliti, convenuti in revocatoria dal Curatore, fornendo assistenza nella controversia mirante ad ottenere la dichiarazione di inefficacia dell’atto posto in essere.
Da ultimo - ma non per questo di minore importanza – lo Studio presta assistenza ai soggetti che rivestono la qualifica di legali rappresentanti di società e/o membri degli organi di controllo societari, in relazione ad eventuali azioni di responsabilità promosse nei loro confronti, ad opera dei Curatori fallimentari.